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©2009-2011 Angelica Lean
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La musica che ascoltiamo
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Re: La musica che ascoltiamo
Adoro quei fiati li sotto
Qui i fiati non ci sono, ma mi piace assaje
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Re: La musica che ascoltiamo
Mino Speranza Best of '00s: Radiohead, 'In Rainbows' (2007)
Best of '00s: Radiohead, 'In Rainbows' (2007)
Era autunno, nell’anno della regina numero 2007. Per la precisione ottobre. Più nello specifico, era pochi giorni prima del mio compleanno. Musicalmente si trattava di un’annata che andava spegnendosi quasi nell’anonimato, dopo che i colpi migliori erano stati sparati nei mesi precedenti. E anche quella era una giornata che stava nascendo anonima. Controllo della posta elettronica, caffè e giro di routine sui maggiori siti musicali: giusto per scovare qualche nuova recensione o un gustoso bootleg dei miei artisti preferiti. Se quello che stavo per scoprire fosse venuto a mia conoscenza a notte fonda, di sabato sera, di ritorno dall’ennesima colossale bevuta al pub, beh probabilmente ci avrei riso su: "Effetti collaterali e sarcastici della birra", sarebbe stato il mio primo pensiero. Perché l’alcol dovrebbe essere molto sarcastico e di cattivo gusto, per mettere su una simile menzogna ai danni dell’animo sensibile di un seguace della band di Thom Yorke.
Invece era tutto vero: il più grande colpo di scena della musica rock, secondo soltanto alla riunione dei Pink Floyd per il Live Aid, era lì davanti ai miei occhi. Su molteplici piattaforme. Come un comunicato a reti unificate del Presidente della Repubblica. Tutti i media musicali avevano riempito le loro home page (persino il televideo riportò a breve la notizia) con caratteri cubitali: "I RADIOHEAD FARANNO USCIRE TRA TRE GIORNI IL NUOVO DISCO, E IL PREZZO LO POTRETE DECIDERE VOI!"
Per inciso, i Radiohead non pubblicavano niente come band dal 2003, anno del non indimenticabile (non quanto i suoi predecessori, almeno) 'Hail To The Thief', e le voci di una crisi sia creativa che interpersonale si susseguivano come formiche davanti ad una mollica di pane. L’impatto mediatico dell’annuncio fu clamoroso e a breve l’iniziativa dei Radiohead sarebbe diventata un punto di non ritorno per il modo di concepire la commercializzazione della musica. Il concetto, portato all’estremo dai Radiohead, era quello di annullare qualsiasi barriera tra ascoltatore e musicista. Come se tutti quanti vivendo in una comune ci svegliassimo al mattino sorseggiando un caffè mentre al nostro fianco Phil Selway sta tamburellando col cucchiaino sulla sua tazza alla ricerca dell’ispirazione per la ritmica di un nuovo pezzo. I Radiohead hanno sempre amato i loro fan. Nel corso degli anni è impossibile a memoria d’uomo ricordare anche un solo concerto eseguito senza professionalità e passione, oppure dei dischi pubblicati per il solo gusto di vendere. E 'In Rainbows' partendo – paradossalmente – svantaggiato (in quanto pubblicizzato da una politica commerciale spiazzante e innovativa) non ha per nulla faticato a diventare un best-seller planetario.
I fan erano dunque liberi di scegliere. Potevano pagare anche zero sterline, oppure duecento, in cambio del download del disco. Il quale poi, successivamente, sarebbe diventato concreto sotto forma di vinile e compact classico. Qualcuno la dichiarò una scelta suicida, poggiando le proprie congetture sul fatto che milioni di persone avide nello scaricare illegalmente decine di dischi al giorno di certo non avrebbero pagato per qualcosa che normalmente avrebbero ottenuto gratis (e che di fatto potevano ottenere legalmente senza pagare), mentre altri (quelli cui i fatti in seguito avrebbero dato pienamente ragione) erano sicuri che tutta l’iniziativa non avrebbe fatto alto che accrescere in maniera esponenziale la popolarità e lo status di culto della band di Oxford. Ma c’era un aspetto da non sottovalutare in quanto determinante per la concretizzazione dei diversi punti di vista: la qualità artistica delle nuove canzoni. E fu questo a mettere d’accordo tutto il mondo.
'In Rainbows' è un album imprescindibile. Un disco miracoloso, perché la sua mistica bellezza compositiva si sposa alla perfezione con l’alone misterioso che ha circondato la sua genesi e la sua nascita. Probabilmente i Radiohead hanno capito di avere per le mani un materiale musicale pazzesco (forse l’apice della loro maturità post 'OK Computer') e hanno ideato un lancio indimenticabile verso le nostre orecchie. E di fatto anche la promozione live fu pazzesca: 'Scotch Mist', quell’ibrido tra documentario, film amatoriale e concerto – trasmesso in webcast - in cui i Radiohead eseguono per intero il disco, ha un fascino ipnotizzante che non ha nulla da invidiare ad una liturgia pagana, dove l’assoluto apice emotivo è l’esecuzione di 'Faust Arp' in aperta campagna tra colpi di vento e fasci di luce obliqui emanati dal sole morente. Il disco è quanto di più rock sia stato suonato dai Radiohead negli ultimi dieci anni. Si è parlato di una rinnovata accessibilità, di una remissiva concessione all’easy e di una velata negazione dei loro principi evoluzionisti.
In realtà i Radiohead non sono mai stati inaccessibili. Non si sono mai negati all’ascoltatore. Piuttosto è l’ascoltatore che ha giudicato i Radiohead inaccessibili a venire meno ad un patto di affidabilità e fedeltà. Perché i Radiohead hanno sempre fornito sottotraccia gli strumenti per essere seguiti: sia che si trattasse di tunnel apparentemente senza fine ('Kid A', che amo definire come il disco più smaccatamente indie dei Radiohead) sia che si trattasse di schiaffi in faccia ad alta quota ('The Bends', ad oggi la miglior raccolta di singoli degli anni '90). Quindi definire 'In Rainbows' un disco semplicemente pop-rock è un errore sostanziale ed inequivocabile. Perché già scorrendo le liriche del disco ci si accorge che non c’è nulla di pop. Perché Thom Yorke non ha mai scritto nulla di popolare. Mettere in musica la lettera d’addio di un terrorista ('Videotape') e insinuare in pezzi di perfetta musica rock di quattro minuti sentimenti come inquietudine, ansia e senso di smarrimento non sono assolutamente azioni tipiche di chi ha in mente di essere pop. Ma in questi sentimenti ci si riconoscono milioni di persone, milioni di persone che non riescono a dare una definizione del proprio inquieto stato d’animo in situazioni ambigue quali ad esempio l’amore ('House Of Cards') o la presa di coscienza della continua decomposizione morale del nostro Presente che si mostra raggiante e idilliaco su teleschermi e aule di parlamento ma che nel suo scantinato ha sempre qualcuno o qualcosa che subisce i contraccolpi di tanta sfrenata vacuità e che muore dalla voglia di emergere come il ritratto di Dorian Gray: "Is this the 20th century?" ('Bodysnatchers'). E allora? Siamo davvero di fronte al pop? Questi sentimenti condivisi, queste canzoni lette a voce bassa come preghiere o recitate come supplemento alla sofferenza dell’inafferrabile ('Nude'), sono sinonimo di popolarità? Lo sono. Ma la popolarità, il consenso delle masse e l’assoluta identificazione dell’ascoltatore con questi squarci di poesia in un oceano di disincanto, non hanno mai deviato i Radiohead dall’esprimere tutto ciò con quella fredda consapevolezza tipica di chi ha un compito.
Se i primi due dischi dei Radiohead hanno dimostrato che fare musica intelligente e coerente non è in antitesi con la bellezza artistica, se 'OK Computer' più di qualsiasi altro disco della sua epoca e non (forse solo 'The Dark Side Of The Moon', opera nella stessa direzione) ha dato attraverso delle liriche irripetibili eseguite con musica aliena una forma all’uomo del nuovo millennio, se 'Kid A' ha demolito quell’uomo moderno profetizzando il progressivo annullamento della coscienza e dell’Io per mano della tecnologia, allora 'In Rainbows' è un’ipotetica macchina obliteratrice nel treno per il mondo che verrà…
Videotape è la lettera di addio di un terrorista musicata da Thom Yorke:
Quando sarò ai cancelli perlati*
questo sarà sulla mia videocassetta
Mefistofele sarà al di sotto
e cercherà di afferrarmi
questo sarà uno dei giorni belli
e ce li ho tutti qui
in rosso, blu, verde, rosso, blu, verde
tu sei il mio centro quando giro
fuori controllo su una videocassetta
su una videocassetta
su una videocassetta
questo è il mio modo per dirti addio
perchè non posso farlo faccia a faccia
sto tornando da te dopo che
si è fatto troppo tardi
dalla mia videocassetta
non importa cosa succederà adesso
non dovresti essere spaventata
perchè so che oggi è stato
il giorno che più raggiunge la perfezione
tra quelli che ho mai visto
*si riferisce ai cancelli del Paradiso
Best of '00s: Radiohead, 'In Rainbows' (2007)
Era autunno, nell’anno della regina numero 2007. Per la precisione ottobre. Più nello specifico, era pochi giorni prima del mio compleanno. Musicalmente si trattava di un’annata che andava spegnendosi quasi nell’anonimato, dopo che i colpi migliori erano stati sparati nei mesi precedenti. E anche quella era una giornata che stava nascendo anonima. Controllo della posta elettronica, caffè e giro di routine sui maggiori siti musicali: giusto per scovare qualche nuova recensione o un gustoso bootleg dei miei artisti preferiti. Se quello che stavo per scoprire fosse venuto a mia conoscenza a notte fonda, di sabato sera, di ritorno dall’ennesima colossale bevuta al pub, beh probabilmente ci avrei riso su: "Effetti collaterali e sarcastici della birra", sarebbe stato il mio primo pensiero. Perché l’alcol dovrebbe essere molto sarcastico e di cattivo gusto, per mettere su una simile menzogna ai danni dell’animo sensibile di un seguace della band di Thom Yorke.
Invece era tutto vero: il più grande colpo di scena della musica rock, secondo soltanto alla riunione dei Pink Floyd per il Live Aid, era lì davanti ai miei occhi. Su molteplici piattaforme. Come un comunicato a reti unificate del Presidente della Repubblica. Tutti i media musicali avevano riempito le loro home page (persino il televideo riportò a breve la notizia) con caratteri cubitali: "I RADIOHEAD FARANNO USCIRE TRA TRE GIORNI IL NUOVO DISCO, E IL PREZZO LO POTRETE DECIDERE VOI!"
Per inciso, i Radiohead non pubblicavano niente come band dal 2003, anno del non indimenticabile (non quanto i suoi predecessori, almeno) 'Hail To The Thief', e le voci di una crisi sia creativa che interpersonale si susseguivano come formiche davanti ad una mollica di pane. L’impatto mediatico dell’annuncio fu clamoroso e a breve l’iniziativa dei Radiohead sarebbe diventata un punto di non ritorno per il modo di concepire la commercializzazione della musica. Il concetto, portato all’estremo dai Radiohead, era quello di annullare qualsiasi barriera tra ascoltatore e musicista. Come se tutti quanti vivendo in una comune ci svegliassimo al mattino sorseggiando un caffè mentre al nostro fianco Phil Selway sta tamburellando col cucchiaino sulla sua tazza alla ricerca dell’ispirazione per la ritmica di un nuovo pezzo. I Radiohead hanno sempre amato i loro fan. Nel corso degli anni è impossibile a memoria d’uomo ricordare anche un solo concerto eseguito senza professionalità e passione, oppure dei dischi pubblicati per il solo gusto di vendere. E 'In Rainbows' partendo – paradossalmente – svantaggiato (in quanto pubblicizzato da una politica commerciale spiazzante e innovativa) non ha per nulla faticato a diventare un best-seller planetario.
I fan erano dunque liberi di scegliere. Potevano pagare anche zero sterline, oppure duecento, in cambio del download del disco. Il quale poi, successivamente, sarebbe diventato concreto sotto forma di vinile e compact classico. Qualcuno la dichiarò una scelta suicida, poggiando le proprie congetture sul fatto che milioni di persone avide nello scaricare illegalmente decine di dischi al giorno di certo non avrebbero pagato per qualcosa che normalmente avrebbero ottenuto gratis (e che di fatto potevano ottenere legalmente senza pagare), mentre altri (quelli cui i fatti in seguito avrebbero dato pienamente ragione) erano sicuri che tutta l’iniziativa non avrebbe fatto alto che accrescere in maniera esponenziale la popolarità e lo status di culto della band di Oxford. Ma c’era un aspetto da non sottovalutare in quanto determinante per la concretizzazione dei diversi punti di vista: la qualità artistica delle nuove canzoni. E fu questo a mettere d’accordo tutto il mondo.
'In Rainbows' è un album imprescindibile. Un disco miracoloso, perché la sua mistica bellezza compositiva si sposa alla perfezione con l’alone misterioso che ha circondato la sua genesi e la sua nascita. Probabilmente i Radiohead hanno capito di avere per le mani un materiale musicale pazzesco (forse l’apice della loro maturità post 'OK Computer') e hanno ideato un lancio indimenticabile verso le nostre orecchie. E di fatto anche la promozione live fu pazzesca: 'Scotch Mist', quell’ibrido tra documentario, film amatoriale e concerto – trasmesso in webcast - in cui i Radiohead eseguono per intero il disco, ha un fascino ipnotizzante che non ha nulla da invidiare ad una liturgia pagana, dove l’assoluto apice emotivo è l’esecuzione di 'Faust Arp' in aperta campagna tra colpi di vento e fasci di luce obliqui emanati dal sole morente. Il disco è quanto di più rock sia stato suonato dai Radiohead negli ultimi dieci anni. Si è parlato di una rinnovata accessibilità, di una remissiva concessione all’easy e di una velata negazione dei loro principi evoluzionisti.
In realtà i Radiohead non sono mai stati inaccessibili. Non si sono mai negati all’ascoltatore. Piuttosto è l’ascoltatore che ha giudicato i Radiohead inaccessibili a venire meno ad un patto di affidabilità e fedeltà. Perché i Radiohead hanno sempre fornito sottotraccia gli strumenti per essere seguiti: sia che si trattasse di tunnel apparentemente senza fine ('Kid A', che amo definire come il disco più smaccatamente indie dei Radiohead) sia che si trattasse di schiaffi in faccia ad alta quota ('The Bends', ad oggi la miglior raccolta di singoli degli anni '90). Quindi definire 'In Rainbows' un disco semplicemente pop-rock è un errore sostanziale ed inequivocabile. Perché già scorrendo le liriche del disco ci si accorge che non c’è nulla di pop. Perché Thom Yorke non ha mai scritto nulla di popolare. Mettere in musica la lettera d’addio di un terrorista ('Videotape') e insinuare in pezzi di perfetta musica rock di quattro minuti sentimenti come inquietudine, ansia e senso di smarrimento non sono assolutamente azioni tipiche di chi ha in mente di essere pop. Ma in questi sentimenti ci si riconoscono milioni di persone, milioni di persone che non riescono a dare una definizione del proprio inquieto stato d’animo in situazioni ambigue quali ad esempio l’amore ('House Of Cards') o la presa di coscienza della continua decomposizione morale del nostro Presente che si mostra raggiante e idilliaco su teleschermi e aule di parlamento ma che nel suo scantinato ha sempre qualcuno o qualcosa che subisce i contraccolpi di tanta sfrenata vacuità e che muore dalla voglia di emergere come il ritratto di Dorian Gray: "Is this the 20th century?" ('Bodysnatchers'). E allora? Siamo davvero di fronte al pop? Questi sentimenti condivisi, queste canzoni lette a voce bassa come preghiere o recitate come supplemento alla sofferenza dell’inafferrabile ('Nude'), sono sinonimo di popolarità? Lo sono. Ma la popolarità, il consenso delle masse e l’assoluta identificazione dell’ascoltatore con questi squarci di poesia in un oceano di disincanto, non hanno mai deviato i Radiohead dall’esprimere tutto ciò con quella fredda consapevolezza tipica di chi ha un compito.
Se i primi due dischi dei Radiohead hanno dimostrato che fare musica intelligente e coerente non è in antitesi con la bellezza artistica, se 'OK Computer' più di qualsiasi altro disco della sua epoca e non (forse solo 'The Dark Side Of The Moon', opera nella stessa direzione) ha dato attraverso delle liriche irripetibili eseguite con musica aliena una forma all’uomo del nuovo millennio, se 'Kid A' ha demolito quell’uomo moderno profetizzando il progressivo annullamento della coscienza e dell’Io per mano della tecnologia, allora 'In Rainbows' è un’ipotetica macchina obliteratrice nel treno per il mondo che verrà…
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Re: La musica che ascoltiamo
Angelica Lean ha scritto:Il video l'ho fatto io
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Re: La musica che ascoltiamo
If every angel's terrible
Then why do you welcome them
If every angel's terrible
Then why do you welcome them
If every angel's terrible
Then why do you welcome them
You provide the bird bath
I provide the skin
And bathing in the moonlight
I'm to tremble like a kitten
If blue eyed babes
Raised as Hitler's little brides and sons
They got angelic tendencies
Like some boys tend to act like queens
Oh if every angel's terrible
Then why do you watch her sleep
You love to hear her sing
And wear purple eyes like rings
Well the flowers have no scent
And the child's been miscarried
Oh every angel's terrible
Said freud and rilke all the same
Rimbaud never paid them no mind
But Jimmi Morrison had his elevators
His elevators
He had his elevator angels
If every angel's terrible
Why do you hide inside her
Like a child in a skirt
The supermarket's loud and bright
And boy don't she feel warm tonight
Boy don't she feel warm tonight
Boy don't she feel warm tonight
If every angel's terrible...
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Re: La musica che ascoltiamo
OSANNA A PAOLAAAAAAAAAAA
Adesso mi creo un paio di alt per darle 3 volte piu' (anche 4 visoto che Noma vale doppio)
Adesso mi creo un paio di alt per darle 3 volte piu' (anche 4 visoto che Noma vale doppio)
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