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Messaggio Da Angelica Lean Sab Dic 19, 2009 11:48 am

Gomorra, Radiohead, il Divo cosa resterà degli "anni zero"

Gomorra, Radiohead, il Divo
cosa resterà degli "anni zero"
Ora la parola passa ai nostri lettori, che potranno esprimersi attraverso i sondaggi
di EDMONDO BERSELLI


Confesso. Mi arrendo senza condizioni. Ammetto che non appena qualcuno accenna alla top ten delle preferenze, musicali, cinematografiche o letterarie, un velo oscuro precipita nella mia mente. Non ricordo nulla. Degli ultimi dieci anni, poi. Buio assoluto sugli Anni Zero (oppure anche zero assoluto sugli anni del buio). Mi sembra che niente degli ultimi anni possa essere ricordato. E quindi c'è da essere grati alla giuria di Repubblica per essere riuscita a comporre una specie di "canone occidentale" dell'intrattenimento. Materia alta e materia bassa, come è giusto. Perché ogni scelta è una specie di dramma cognitivo, qualsiasi
esclusione fa male alla coscienza, ogni inclusione si misura con altre che avrebbero meritato sorte analoga.

Ma poi c'è anche il piacere intrinseco a ogni compilazione di graduatorie. Decidere per esempio se premiare Il divo o Gomorra. Due film "civili", due ritratti della storia italiana identificata in tutte le sue asprezze, e anche nelle sue disperazioni. Più politico, il film su Andreotti, più radicalmente sociale l'hard movie tratto dal romanzo choc di Roberto Saviano. Ma entrambi testimoniano di un'Italia che si muove sul crinale dell'illegalità politica e di una normale, ordinaria criminalità quotidiana. Il post-neorealismo di questa cinematografia così spietata non è neppure una denuncia: sembra piuttosto la presa d'atto di un'abdicazione. Di fronte a film come quelli di Sorrentino e Garrone è più difficile del previsto trovare riferimenti nei film del passato. Forse nell'opera di Elio Petri, nei profili lividi e negli autunni caldissimi di La classe operaia va in paradiso, forse nelle ricostruzioni storiche di Francesco Rosi (Il caso Mattei).
E sul piano internazionale non può allora sorprendere
la prima posizione del film di George Clooney Good night and good luck, un'altra opera d'impegno, tradizionale nell'impianto narrativo eppure coinvolgente nel suo intento didascalico. Anche se naturalmente il postmoderno Parla con me di Almodóvar possiede ben altra visionarietà, e Non è un paese per vecchi, tratto dai fratelli Coen dal romanzo di Cormack McCarthy, contiene dilemmi etici così forti da segnare l'intera curvatura narrativa del film (così come anche in Gran Torino del quasi ottantenne Clint Eastwood, che riesce a contemplare il formarsi di una società multietnica con la curiosità di chi non ha più nulla da perdere, se non la sua stupenda Ford degli anni Settanta).

Può darsi comunque che con le opere di cinematografia
l'aspetto programmatico sia più facile da cogliere; mentre è nella narrativa e nella letteratura che le cose si fanno più complicate. Innanzitutto, visto che di nuovo in vetta alle preferenze nella narrativa spopola Gomorra, si può individuare uno schema nuovo, nella forma letteraria italiana? Il libro di Saviano infatti è un metaromanzo, e interpreta il tentativo di raccontare la realtà della camorra e della criminalità organizzata attraverso moduli non soltanto documentari bensì esplicitamente narrativi. Il risultato è stato clamoroso, dal punto di vista delle vendite e del successo fra i lettori. E allora, che cosa si può concludere? Che si tratti di fiction o di denuncia? Non solo: tanto vale soffermarsi per qualche istante su un altro libro decisamente anomalo e imperdibile, La vita bassa di
Alberto Arbasino: un "non saggio" che illustra l'Italia di oggi nei suoi vizi antropologici e nelle sue superstizioni lessicali, cercando in ogni espressione l'indizio di un conformismo (e trovandolo, com'è ovvio).

Oppure si potrebbe e dovrebbe mettere a fuoco il romanzo-verità, come si sarebbe detto una volta, di Walter Siti, Il contagio. Qualcosa a metà fra il reportage e l'interpretazione sociologica: un racconto duramente pasoliniano, in cui le periferie romane vengono descritte nella loro spettrale fenomenologia. Nelle borgate infatti non ci sono poveri. Ci sono ricchi estemporanei; e ci sono i miserabili. Consumo esasperato e nello stesso tempo "normale" di sesso e cocaina compongono un mercato in cui si entra facilmente, pagando poi prezzi estremi. Bastava leggere il libro di Siti per capire che Francesco Rutelli avrebbe perso, e male, le elezioni comunali (Veltroni poteva governare l'immaginario, Rutelli muoveva solo poteri).

E induce a riflessioni anche queste sociologiche anche l'irruzione della realtà dentro la narrativa, come avviene nel libro di Ammaniti Io non ho paura, e ancora nella splendida ricostruzione di Antonio Franchini L'abusivo, dedicata alla morte per omicidio del giornalista napoletano Giancarlo Siani, cronista del Mattino ucciso dalla camorra.

Dopo di che, si è autorizzati a passare al lato più ludico, ossia alla musica. Tuttavia anche in questo caso ci si accorge facilmente che non ci si limita a farsi prendere dalle spirali ipnotiche di Kid A dei Radiohead,
oppure dal neobarocco di Anthony and the Johnsons, con la sua voce morbida e irripetibile. Anche guardando al mercato italiano, si nota che in diversi casi c'è anche qui un'irruzione di realtà. Succede con le canzoni dei Baustelle, in cui il leader Francesco Bianconi non rinuncia mai a inserire nei testi un contenuto forte, dal suicidio con il gas all'uso indiscriminato dell'ecstasy, nel contesto di un uso consumistico anche della morte e della dissipazione fisica. Mentre per restare sul sicuro ci si può affidare ai cantautori italiani vecchi e nuovi, da Fossati a Caparezza e Capossela.

Come si vede, le classifiche selezionate dalla giuria di Repubblica non lasciano scampo agli esclusi. Chi c'è c'è. Quelli rimasti fuori rappresentano la galassia grigia delle preferenze minori. Tutte legittime, ma non di mainstream. D'altronde, che piacere ci sarebbe nel
compilare classifiche se non fosse implicito il gioco crudele delle esclusioni? Alla fine, rimangono le scelte, più o meno arbitrarie, ma consolidate dal tempo e dal "piacere del testo". Come in una lezione di metodo di Roland Barthes, rimangono cinquanta "oggetti", simulacri di una cultura, che si possono analizzare, con
odio o con affetto, come totem degli anni Duemila. Teniamoli nel cassetto, in attesa dei prossimi dieci anni.
Angelica Lean
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