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La lega nord sbarca al sud.... stronzi ma mica fessi questi
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La lega nord sbarca al sud.... stronzi ma mica fessi questi
http://espresso.repubblica.it/dettaglio/arriva-la-lega-sud/2133154/24
Uno sbarco dei Mille al contrario, un 1860 alla rovescia, organizzato con perfetto senso della storia un secolo e mezzo dopo. Con le camicie verdi al posto di quelle rosse, Roberto Maroni al posto di Nino Bixio, il Senatur invece del Generale.
Giuseppe Garibaldi ha unito l'Italia, Umberto Bossi la disferà con una seconda spedizione dal Nord al Sud, questa volta elettorale: candidare la Lega su tutto il territorio nazionale con il verbo del federalismo, ognun per sè. In Calabria sono già pronti: ad aprile il senatore leghista Enrico Montani, piemontese di Verbania, è stato inviato tra la gente in Aspromonte, novello cacciatore delle Alpi, per aprire ufficialmente il tesseramento della Lega Calabria Federalista, avamposto del Carroccio in terra jonica. Forte degli 8500 voti, l'uno per cento, raccolto alle elezioni europee del 2009. Una miseria, per ora, rispetto ai granai di consensi delle regioni native, il Lombardo- Veneto: ma l'ascesa del partito dalla Val Brembana ai palazzi romani insegna che se si semina bene il tempo della mietitura verrà. E per Bossi i prossimi mesi sono quelli della raccolta decisiva. Lega Pigliatutto.
E Umberto di nuovo guerriero. «Il Capo è tornato a ruggire», esulta un deputato che lo ha seguito tra le feste di partito, le serate di miss Padania e le esternazioni fino alle ore piccole dove il fondatore del Carroccio si è rimesso a dettare l'agenda della politica nazionale, con il consueto aplomb padano.
Gianfranco Fini? «Vuole i matrimoni tra omosessuali, dà di matto». Denis Verdini? «Un democristiano di merda». Con Pier Ferdinando Casini, potenziale alleato di ritorno del Cavaliere, Bossi è stato più sintetico: «Uno stronzo ». Meno male, la forma non è andata perduta. In vista di elezioni da fare il prima possibile, al massimo all'inizio del 2011, anche a costo di scompaginare i piani di Silvio Berlusconi, che il voto anticipato per castigare i ribelli finiani lo minaccia ma con qualche preoccupazione, visti i sondaggi per il Senato. Numeri che danno a rischio la maggioranza del Cavaliere a palazzo Madama se dovesse correre un Terzo polo. E che, al contrario, fanno ingolosire la Lega, data intorno al 13 per cento nazionale, con punte del 15 in Emilia Romagna e per la prima volta rilevata nel centrosud, in Calabria, in Abruzzo, in Sardegna. Percentuali che in caso di flop berlusconiano nella tombola dei premi regionali per il Senato consegnerebbero al Carroccio la golden share per fare qualsiasi maggioranza. Oltre a un possibile sorpasso sul Pdl nelle regioni del Nord.
Ad Alzano Lombardo, minuscolo centro bergamasco, è già successo: alle regionali lombarde di primavera la Lega ha toccato il 35 per cento, il Pdl si è bloccato al 23. Qui, alla Berghem Fest, nell'ultima settimana sono sfilati ben quattro ministri: oltre a Bossi, Calderoli e Maroni. Più Giulio Tremonti, festeggiato in Cadore dallo stato maggiore leghista per il suo compleanno. La foto di gruppo del governo ideale da fare dopo le elezioni: un monocolore padano con il Gran Valtellinese al centro. Un incubo per Berlusconi che non dimentica l'avvertimento di un amico democristiano: «Attento, Silvio, i leghisti ti sono vicini, certo. Ma a distanza di pugnale». Oggi Alzano, domani l'intero Nord, l'Italia, i leghisti ci credono. Al punto di mettere da parte, rapidamente, i dissensi e le rivalità personali emersi all'inizio dell'estate, nei giorni del caso Brancher (l'ambasciatore di Berlusconi presso la Lega nominato ministro, costretto a dimettersi e poi condannato a due anni per ricettazione e appropriazione indebita). La tensione tra le due anime del movimento era salita al livello di guardia. Da un lato, il grosso degli amministratori locali e dei gruppi parlamentari, l'apparato riunito attorno a Calderoli e a Giancarlo Giorgetti, il silenzioso e potente presidente della commissione Bilancio della Camera, uno dei pochi ammessi a contraddire Bossi. Dall'altro, la Sacra Famiglia che fa da cordone sanitario al Senatur, composta dalla vice-presidente del Senato Rosy Mauro, dai capogruppo Federico Bricolo (fedelissimo del governatore veneto Luca Zaia) e Marco Reguzzoni e da Manuela Marrone, tra i cinque fondatori della Lega con il primo statuto del 1986 e soprattutto moglie del ministro: la custode della purezza padana.
ed allora mi è venuto in mente un film visto proprio sabato sera
2061 - Un anno eccezionale
Uno sbarco dei Mille al contrario, un 1860 alla rovescia, organizzato con perfetto senso della storia un secolo e mezzo dopo. Con le camicie verdi al posto di quelle rosse, Roberto Maroni al posto di Nino Bixio, il Senatur invece del Generale.
Giuseppe Garibaldi ha unito l'Italia, Umberto Bossi la disferà con una seconda spedizione dal Nord al Sud, questa volta elettorale: candidare la Lega su tutto il territorio nazionale con il verbo del federalismo, ognun per sè. In Calabria sono già pronti: ad aprile il senatore leghista Enrico Montani, piemontese di Verbania, è stato inviato tra la gente in Aspromonte, novello cacciatore delle Alpi, per aprire ufficialmente il tesseramento della Lega Calabria Federalista, avamposto del Carroccio in terra jonica. Forte degli 8500 voti, l'uno per cento, raccolto alle elezioni europee del 2009. Una miseria, per ora, rispetto ai granai di consensi delle regioni native, il Lombardo- Veneto: ma l'ascesa del partito dalla Val Brembana ai palazzi romani insegna che se si semina bene il tempo della mietitura verrà. E per Bossi i prossimi mesi sono quelli della raccolta decisiva. Lega Pigliatutto.
E Umberto di nuovo guerriero. «Il Capo è tornato a ruggire», esulta un deputato che lo ha seguito tra le feste di partito, le serate di miss Padania e le esternazioni fino alle ore piccole dove il fondatore del Carroccio si è rimesso a dettare l'agenda della politica nazionale, con il consueto aplomb padano.
Gianfranco Fini? «Vuole i matrimoni tra omosessuali, dà di matto». Denis Verdini? «Un democristiano di merda». Con Pier Ferdinando Casini, potenziale alleato di ritorno del Cavaliere, Bossi è stato più sintetico: «Uno stronzo ». Meno male, la forma non è andata perduta. In vista di elezioni da fare il prima possibile, al massimo all'inizio del 2011, anche a costo di scompaginare i piani di Silvio Berlusconi, che il voto anticipato per castigare i ribelli finiani lo minaccia ma con qualche preoccupazione, visti i sondaggi per il Senato. Numeri che danno a rischio la maggioranza del Cavaliere a palazzo Madama se dovesse correre un Terzo polo. E che, al contrario, fanno ingolosire la Lega, data intorno al 13 per cento nazionale, con punte del 15 in Emilia Romagna e per la prima volta rilevata nel centrosud, in Calabria, in Abruzzo, in Sardegna. Percentuali che in caso di flop berlusconiano nella tombola dei premi regionali per il Senato consegnerebbero al Carroccio la golden share per fare qualsiasi maggioranza. Oltre a un possibile sorpasso sul Pdl nelle regioni del Nord.
Ad Alzano Lombardo, minuscolo centro bergamasco, è già successo: alle regionali lombarde di primavera la Lega ha toccato il 35 per cento, il Pdl si è bloccato al 23. Qui, alla Berghem Fest, nell'ultima settimana sono sfilati ben quattro ministri: oltre a Bossi, Calderoli e Maroni. Più Giulio Tremonti, festeggiato in Cadore dallo stato maggiore leghista per il suo compleanno. La foto di gruppo del governo ideale da fare dopo le elezioni: un monocolore padano con il Gran Valtellinese al centro. Un incubo per Berlusconi che non dimentica l'avvertimento di un amico democristiano: «Attento, Silvio, i leghisti ti sono vicini, certo. Ma a distanza di pugnale». Oggi Alzano, domani l'intero Nord, l'Italia, i leghisti ci credono. Al punto di mettere da parte, rapidamente, i dissensi e le rivalità personali emersi all'inizio dell'estate, nei giorni del caso Brancher (l'ambasciatore di Berlusconi presso la Lega nominato ministro, costretto a dimettersi e poi condannato a due anni per ricettazione e appropriazione indebita). La tensione tra le due anime del movimento era salita al livello di guardia. Da un lato, il grosso degli amministratori locali e dei gruppi parlamentari, l'apparato riunito attorno a Calderoli e a Giancarlo Giorgetti, il silenzioso e potente presidente della commissione Bilancio della Camera, uno dei pochi ammessi a contraddire Bossi. Dall'altro, la Sacra Famiglia che fa da cordone sanitario al Senatur, composta dalla vice-presidente del Senato Rosy Mauro, dai capogruppo Federico Bricolo (fedelissimo del governatore veneto Luca Zaia) e Marco Reguzzoni e da Manuela Marrone, tra i cinque fondatori della Lega con il primo statuto del 1986 e soprattutto moglie del ministro: la custode della purezza padana.
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